La biologa del Santuario Pelagos: “La salute dei cetacei dipende dal nostro stile di vita”
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Imperia - Da anni un gruppo di biologi studia la vita dei cetacei che vivono all’interno del Santuario del Pelagos, che tocca le coste liguri e francesi. Le ricerche del team abbracciano anche le conseguenze che l’impatto dell’uomo ha sul mondo marino. Questo attento lavoro di studio marino potrebbe avere nei prossimi mesi un’importante accelerata grazie a un drone con una tecnologia molto sofisticata, che avrà il compito di monitorare le specie di mammiferi che vivono nell’area.
Per saperne di più abbiamo rivolto qualche domanda a Sabina Airoldi, biologa e ricercatrice, capo missione di Tethys nel Santuario Pelagos e massima esperta dei cetacei nell’area protetta.
Sta lavorando come biologa marina nel Santuario Pelagos da molto tempo: su cosa si sono concentrate fino ad ora le sue ricerche?
É dal 1988 che conduco ricerche nel Mar Ligure. Sulle base delle nostre evidenze scientifiche a fine anni ‘80 l’istituto Tethys ha proposto a Italia, Francia e Principato di Monaco di creare un’area marina protetta a tutela dei cetacei del Mediterraneo, individuata proprio nel mare Ligure e provenzale (proposta fatta da Giuseppe Notarbartolo di Sciara nel 1990) e nel ’99 finalmente è stato siglato l’accordo tra i tre paesi un accordo, poi entrato in vigore nel 2001 dando vita al Santuario Pelagos.
Quello che noi facciamo, e a cui ho dedicato oltre 30 anni della mia vita, è studiare e monitorare le otto diverse specie di cetacei che sono presenti nel Mediterraneo e nel Santuario. Ci occupiamo di studiare tutti i parametri biologici ed ecologici e soprattutto ne studiamo gli andamenti, quindi se la popolazione è in aumento o in diminuzione. La quantità di dati raccolti in tutti questi anni che ci permette di capire i trend, gli andamenti e come l’impatto delle diverse attività umane influiscono sulla vita delle diverse specie.
Purtroppo, nonostante quest’area sia ad altissima produttività (quindi molto ricca di vertebrati e invertebrati marini), è anche altrettanto antropizzata. Un esempio è il traffico marittimo molto intenso, che crea inquinamento acustico che disturba in modo particolare i cetacei che vivono e comunicano con i suoni, ma anche la balenottera comune e il capodoglio, spesso vittime di collisioni con grandi imbarcazioni.
Quali peculiarità ha il santuario rispetto ad altre aree marine limitrofe?
È teatro dell’interazione di un complesso sistema di correnti marine e di venti e alle condizioni topografiche dell’area del santuario, soprattutto nella parte occidentale. Queste correnti di risalita portano in superficie i nutrienti che vengono messi a disposizione del fitoplancton, ovvero di quella parte vegetale del mare che è alla base di una ricca catena trofica. Noi abbiamo una elevatissima produttività primaria nel santuario, quindi moltissimo fitoplancton, che sostiene oltre allo zooplancton anche tantissimi altri organismi, non ultime le popolazioni di cetacei.
Qual è la situazione dell’area studiata sotto l’aspetto dell’inquinamento?
Come dicevo gli impatti antropici sono numerosi: oltre al sovrasfruttamento della pesca, al traffico marittimo e all’inquinamento acustico, abbiamo anche in questa area un inquinamento chimico importante. Come in tutto il resto del Mediterraneo c’è una notevole quantità di sostanze che noi definiamo xenobiotiche, cioè che risultano tossiche per i cetacei e per moltissimi altri organismi marini.
Queste sostanze dannose sono utilizzate soprattutto nell’industria, ma anche in prodotti di uso comune. In mare entrano nella catena trofica e vengono accumulati nel grasso di questi animali, abbassando la capacità di risposta del sistema immunitario. Questi inquinanti inficiano parte della capacità di combattere eventuali infezioni virali, ma anche batteriche, e altre malattie.
È molto importante riuscire a capire che è l’insieme di tutte queste sostanze a creare dei problemi a questi animali. In collaborazione con l’università di Foggia inoltre, stiamo studiando quali sono quei batteri e parassiti di origine umana che colpiscono anche i cetacei arrivando in mare attraverso ad esempio gli scarichi fognari. Gli animali in questo caso si ritrovano con parassiti umani che nel tempo l’uomo è riuscito a combattere, mentre loro non hanno ancora questa capacità.
Quale ruolo hanno i singoli cittadini e cosa possono fare per migliorare lo stato attuale e prevenire ulteriori forme di inquinamento?
I singoli cittadini possono diventare prima di tutto consapevoli della loro impronta ecologica. Essi spesso vengono chiamati consumatori e come tali possono fare tantissimo, perché ogni volta che si va a fare un acquisto bisogna sempre considerare che quello che sta per essere acquistato – e l’atto in sé di comprarlo – può avere un peso in termini ecologici, di inquinamento, di sostenibilità.
Invito quindi a fare acquisti consapevoli, ponendo l’attenzione ad esempio sul packaging totalmente riciclabile o verificando che i prodotti siano stati realizzati nel rispetto dell’ambiente. Quindi impariamo a leggere le etichette, informiamoci e soprattutto siamo consapevoli che ogni nostro gesto quotidiano può fare la differenza. E bisogna farla: ognuno di noi deve assumersi la responsabilità dell’impronta che ognuno di noi lascia nell’ambiente. È una questione di cambio di cultura, di paradigma.
Partirà un drone tra poco. Ci può raccontare di cosa si tratta e quali sono gli obiettivi?
È una straordinaria opportunità quella che la guardia costiera italiana darà a Tethys con questo drone, messo a disposizione da Empsa, l’Agenzia europea per la sicurezza marittima. Non ne possiamo parlare ancora troppo, dobbiamo attendere gli ultimi permessi per iniziare a godere di questa bella opportunità, grazie a una sofisticata tecnologia messa a disposizione per la ricerca scientifica sui cetacei.
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